Giorno 19 – La solitudine

Papa Francesco in una Piazza San Pietro Deserta

I giorni sono tutti uguali in quarantena, ringraziando il cielo io lavoro in Smart Working ovviamente e quindi almeno la giornata è cadenzata da riunioni ed attività che mi tengono lontano dalla fatica di dover riempire tante ore all’interno delle stesse mura. Nella parte di Milano dove vivo fuori è tutto molto tranquillo: poche macchine, poca gente, poco tutto… La tentazione di sentirsi assopiti e di farsi assalire da apatia o peggio dal panico dei numeri che continuano a riportare un ecatombe di morti (anche oggi più di 900) è davvero grande. Siamo soli ed indifesi. I social network semplicemente mitigano questa situazione mescolando sciocchezze, affettuosità, notizie in un turbine che porta a continui sbalzi di umore ed entusiasmo. E’ così che scorgo il messaggio di mia madre che mi dice “Guarda che alle 18 il Papa darà la benedizione”. Ah già… Il Papa. Chissà perchè in questi momenti la fede non è più solo un refuso del passato, una vecchia appendice che tutti rimuoviamo ma, più che mai diviene speranza.

Benedizione Urbi et Orbi

Alle 18 sono davanti al televisore, non guardo il consueto bollettino giornaliero della protezione civile e semplicemente mi metto in attesa. Lo spettacolo che si presenta è davvero colmo di dramma il Papa affronta un sagrato completamente vuoto e chi ci è stato da bene quanto enorme sia Piazza San Pietro, specie quando è vuota. E’ lui, ma siamo noi, soli e minuscoli. C’è poca speranza, e molta sottomissione, a testimoniare che si, siamo alla frutta. Il commentatore dice che è la prima volta che l’indulgenzia plenaria viene impartita a tutti quelli che semplicemente la desiderino senza nessuna delle solite regole la accompagnano. Un altro segno della totale unicità e drammaticità dei giorni che stiamo vivendo. Qualcosa di epocale, senza dubbio.

Giorno 13 – The show must to go on

Qualche riflessione giunti al 13mo giorno di quarantena. La situazione, sembra essere tutto tranne che chiara. Si comincia vedere un certo nervosismo serpeggiare nei social ed in generale tra la gente. Ieri sera Conte ha annunciato un intervento in diretta Facebook ed alcuni minuti di ritardo hanno generato un diffuso senso di panico e caos. La cosa che colpisce è che questa crisi “la più importante dal dopo guerra” è passata come un carro-armato su quello che per la mia generazione è stato un capo saldo praticamente inattaccabile: lo spettacolo deve continuare. Qualsia cosa accadesse la macchina non si fermava mai o se lo faceva, era per un lasso di tempo breve, a volte brevissimo e soprattutto quasi mai tutto e tutti assieme. Guerra del Golfo, 11 settembre, La morte di Giovanni Paolo II, Terremoti, catastrofi varie (anche nucleari) niente prima di oggi era riuscito come questo microscopico essere a fermare la macchina lanciata a mille su cui viaggiamo. Ed uno dei più grossi paradossi è proprio quello: che ha fermare tutto non sia stata qualche guerra mondiale, qualche arma atomica ma, qualcosa di infinitamente piccolo ed infinitamente semplice al cospetto nostro e delle tecnologie che maneggiamo giornalmente.

E se tutto ciò lo prendessimo come un successo, come una prova per renderci conto che la macchina sofisticata ma non certo perfetta che abbiamo progettato, si possa fermare. Che non siamo schiavi della nostra creazione, che possiamo scegliere anche di spegnerla se occorre? Magari per poco tempo, ogni tanto, progettandola con anticipo e segnandocela sul calendario. Un momento per tutti e se deve essere per tutti potrebbe voler dire che quel giorno non si possa fare nulla: niente ristoranti, autobus, treni, aerei, lavoro, shopping, montagna, mare, calcio, basket, F1… esattamente come in questi giorni… Tranne che per una cosa. Stare insieme, in quel giorno si potrebbe e dovrebbe stare insieme ma stare insieme solo per il piacere di farlo, senza una fine specifico. Perchè in questa segregazione forzata che ormai viviamo da settimane forse ci siamo resi conto che non sono le cose da cui facciamo fatica a stare staccati. Sono le persone, chi vogliamo bene. Questa piaga epocale qualche insegnamento ce lo lascerà e certo questo me lo tengo stretto, perchè quando tutto tornerà alla normalità e si dirà “è ma non si può fermare tutto” ci sarà il ricordo di questi giorni a dirci che invece è tutta una questione di volerlo, di mettere prima di tutto un bene comune che, si spera in altre situazioni possa essere individuato in qualcosa di diverso dalla salute pubblica. Una speranza e quasi una certezza. Basta volerlo.